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L'isola che non c'è

Mi erano antipatici i soldatini della confezione regalo, avion nelle divise, avion nell’elmetto, avion corpo e faccia, sotto la bandiera avion pure quella. Così mi ero creato un personale contro-esercito di disperati, un trombettiere verde, un lottatore meticcio, un apache e una decina di spaiati da altre confezioni, scambiati o rubati di nascosto agli amichetti. Il manipolo di spaiati, per quanto di improbabile formazione, vinceva sempre contro l’esercito avion perchè dava soddisfazione a me che ne decidevo le sorti. Sarà stato l’effetto di Kabir Bedi tigre di monpracem la domenica sera in tv o la truppa di Garibaldi raccontata dal maestro, col ragazzetto compositore dell’inno cantato con la mano sul cuore ai mondiali.

Mi è sempre piaciuta la rivoluzione, la guerriglia dei disperati, Davide contro Golia, Geronimo contro Custer, Camillo Piazza ventiseinne, stampatore di caratteri, impiccato dagli austriaci nelle 5 Giornate di Milano del 1848. Mi annoiavano gli interi capitoli tutti uguali, interminabili pagine di potenti più o meno magnanimi sopra una massa indistinta e silenziosa di sfruttati, utile a fare numero negli elenchi di guerre, epidemie, e catastrofi. Non vedevo l’ora di arrivare a quelle rare rivoluzioni epocali, a cadenza pressochè centenaria, che aggiungevano un pò di verve al noioso ripetersi di date, papi e re. Che si chiamavano sempre Luigi, Carlo, Pio, Filippo, costretti ad aggiungersi al nome numeri progressivi per non confondersi nella memoria. Sono cresciuto con quest’ansia di cambiamento soddisfatta a singhiozzi poi, nel tempo, sempre più raramente perchè di eroi senza macchia e senza paura il libro di storia era avaro e ne narrava l'insesorabile martirio.

Cosicchè mi sono abituato tendenzialmente a perdere, a posizionarmi dalla parte degli sfigati della Storia, con l’aspettativa di rivalsa frustrata, relegata al ricordo del manipolo di spaiati che facevo vincere bambino, contro il grande esercito avion. Da quest’ansia inespressa ho dedotto che i cambiamenti sono sconnessioni della Regola, brividi della Storia, maglie rotte nella rete le chiamava Montale, da dove infilarsi nel Matrix e sconvolgerlo, ribaltarne il senso, l’ordinato, perentorio, immutato suo svolgimento nel tempo. Il povero Galileo sconfessato e accusato perchè fuori dal coro imposto per legge divina, tentò di spiegarci che la regola non fosse geocentrica, che fosse il Sole il nostro riferimento e noi una semplice palla fra le tante che gli ruota attorno dalla notte dei tempi. La sconnessione che Galileo infilò nel sistema suo contemporaneo fu una bomba milioni di volte pù potente di qualsiasi hiroshima, perchè metteva in dubbio l’architettura sulla quale si fondava il Potere. I pochi grandi galilei che ricordiamo valgono non solo per quanto ci hanno lasciato quanto anche per quanto hanno dimostrato spendendosi per il cambiamento, mostrandoci il brivido di starci, di poter incidere nel proprio contesto e svoltarne il destino verso qualcos’altro. Il problema è che si deve avere chiara la strategia, puntato l’obiettivo, conoscere il qualcos’altro in cui mutare, altrimenti il caos che se ne potrebbe produrre è sterile, fino a se stesso, manifestazione del narcisismo improduttivo e dannoso di uno dei tanti quaquaraquà che hanno portato i maggiori guai al passato anche recente del nostro Paese.

Tommaso Moro inventò Utopia 600 anni fa, l’isola talmente piacevole da vivere che lui stesso la definì “non luogo”, come l’isola - appunto - che non c’è cantata da Bennato. Prima di tutti lo stesso Moro sapeva perfettamente che non si sarebbe mai potuta realizzare una società ideale, sebbene sia stata fonte di ispirazione di pensatori di tutti i tempi successivi. Serviva ad avere chiaro l’orizzonte, la stella polare dritta a nord a indirizzare l’ago della bussola che mai potrebbe raggiungerla.

Machiavelli, su posizioni opposte, lo sconfessava. Le Isole di Wight popolate di hippy e fattoni a lui, che era un concretone strategico, apparivano come distrazioni radical chic all’analisi della realtà. Bisognava concentrarsi sull’effettuale, modificare il contesto e la storia dopo averne analizzati i meccanismi, orientare le azioni al Potere, forti delle buone intenzioni di instaurare un regime illuminato e proteso al progresso civile. Certo, a rileggere gli antesignani della nostra civiltà verrebbe da chiedersi come sia possibile che noi ne siamo i discendenti, cosa sia intervenuto nell’aria e nell’alimentazione, cosa abbiano buttato nell’acqua per trasformarci in questo gregge belante stretti da cani pastori nell’ovile a brucare erba e defecarne palline. Ma tant’è, direbbe Machiavelli, con questo tocca fare i conti.

Allora facciamoci i conti. Non si rintraccia utopia nè strategia, no rivoluzioni possibili in un Paese in cui da sempre i cambiamenti sono lente metamorfosi di camaleonte che cambia pelle ma resta sempre camaleonte. Si intravedono solo spuri strillatori in ordine sparso che additano alla denuncia, allo scandalo, al sopruso, all’impeachment, alla paralisi. Per ottenernerne che, non si sa.

La Rivoluzione, unica possibile, è la somma delle utopie possibili di ogni periferia, degli eroi isolati del contemporaneo che puntano alla reinvenzione del proprio destino e, ancor di più, ai pochi che hanno capito che da soli l’utopia è quanto mai ardua senza compagni di ventura spaiati, rubati dalle confezioni regalo degli amichetti. La vera strategia contro il Sistema immutabile è sviscerarne le regole, carpirne le sconnessioni e infilarcisi per smantellarne le architetture, pretendendo la rimozione dei lacci e lacciuoli che limitano le iniziative più virtuose, i miraggi possibili da fissarsi dritti davanti a sè come la seconda stella a destra che segna la strada verso l’isola che non c’è.


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