top of page

Secchioni

Ho visto sottocasa un secchione infilzato da una sedia. Un’installazione di transavanguardia, mi sono detto- visto peraltro la zona niente affatto estranea all’argomento -, domandandomi, subito appresso, chi o cosa avesse spinto lo sconosciuto a infilare malamente una sedia disusa nell’angusta feritoia del cassonetto della carta.

Se devi disfarti di una sedia di certo l’istintivo senso di colpa che ti farebbe sentire un pò coglione se ti beccassero in flagranza ti spingerebbe a liberartene in fretta e alla chetichella. La fionderesti nel pertugio più agevole e prossimo, nel cassone di quel pluribatterico magma lasciato a stagnare che l’ente gestore definisce indifferenziato. Tale nella sostanza quanto nello spazio occupato, indifferente sia al dove che al cosa.

Invece l’ignoto scartatore ha scelto il cassone più scomodo per piantarci la sedia, di sbieco a mo’ di vessillo sulla collina conquistata. Forse perchè l’indifferenziato era pieno, forse perchè, giungendo contromano, quello era il primo cassonetto della serie o forse perchè davvero era uno street artist ispirato a un’installazione temporanea e convinto che, visti tempi e frequenze del ritiro, l’opera sarebbe rimasta a campeggiare a lungo, raggiungendo sicuramente molto più pubblico che al Maxxi,- che peraltro è chiuso-.

Eppure, chissà perchè, ero certo che l’ignoto avesse inferto con consapevole disprezzo la sedia in dichiarata mostra di sè, come a violentare l’angusto pertugio del contenitore, animandolo nell’immaginazione con le fattezze del nemico, magari il sindaco stesso in qualche posizione indicibile.

Si sarà nettato le mani sfregandole con sprezzante fierezza, chiosando l’atto creativo con un tiè, a rimuovere con orgogliosa disubbidienza civile il rigurgito di educazione civica che lo sguardo torvo della mamma che ha appena passato lo straccio gli avrà instillato.

Vittima anch’egli della schizofrenia vendicativa che ci assale quando, costretti a moltiplicare i secchielli dentro casa per odiose disposizioni comunali, cercando quello giusto per l’imballo più indecifrabile,- che so un pezzo di pluribolle da uno scatolone di Ikea o un cartone del latte che sgocciola nel frattempo sul tappeto- ti parte il vaffaday di pancia al comune, all’ente gestore, al governo ladro, all’europa unita, alla Merkel che detta legge buttandoci nell’indifferenziata miseria del terzo mondo.

Abbiamo allontanato da noi la materia di scarto come un malanno che cova dentro, lasciando agli ambientalisti più intransigenti e ai simpatici canguretti Dusty le buoniste ossessioni riciclatorie e, contestualmente, a gestori corrotti e camorre senza scrupoli il lucro del malaffare che se ne poteva trarre indisturbati, giustificando la nostra indifferente indolenza con le leggende metropolitane che amiamo raccontarci: tanto poi finisce tutto in discarica. Come se comunque non fossero cose nostre, come se, una volta legato, il sacchetto dei nostri scarti si dissolvesse per magia in qualche buco nero dell’universo, invece che tornare a bussarci alla porta come il boomerang di Fantozzi.

Nascondiamo nella notte fonda la raccolta, il prelevamento, il trasporto, il conferimento e i traffici nelle discariche che nel frattempo strabordano. La città invisibile dei rifiuti, -la Leonia che Calvino raccontava già nei primordi della civiltà consumista- si è espansa, invadendoci e minacciando le nostre stesse fondamenta.

Paradossalmente, più cresceva la crisi e diminuivano i consumi più ammucchiavamo rifiuti, più tagliavamo la spesa pubblica e i relativi servizi e più il problema diventava ingestibile. Tempestati da notizie di corruzione e malaffare attorno sull’argomento nemmeno ce ne sorprendiamo, quasi che le due materie fossero connaturate e i chi tratta gli scarti debba essere necessariamente uno stronzo purulento, individuo schifoso come le sostanze che smuove e che indisturbatamente seppellisce qui e là avvelenando chi ci abita o ci mangia.

Nessuno che accetti velenosi impianti che inceneriscano l’ingestibile mole di schifo e nessuno che se ne informi, finchè non si appicchino spontanei fuochi fatui dalla terra che è diventata “dei fuochi”, presagio di ben altri fuochi fatui che quei disastri richiamano. Nessuno che promuova o pretenda una seria campagna di informazione che spieghi la banale relazione con i nostri comportamenti, dal quotidiano acquisto dei prodotti alle modalità di raccolta degli scarti che se ne producono.

Nessuno che ne imponga o pretenda per legge la riduzione già alla produzione, facendoci semplicemente riflettere sui soldi che buttiamo nella monnezza, soprattutto in recessioni come questa.

La bolletta, cresciuta negli ultimi anni in inversa proporzione con l’inefficienza del servizio e paradossalmente con la contrazione dei consumi, serve a compensare la scellerata e mafiosa gestione che se ne è fatta e che se ne è lasciata fare negli anni, gli accordi milionari tramati dietro il cassonetto. Quindi, anonimo street artist infilzatore di anguste fessure di cassonetti, hai ben altri pertugi con i quali prendertela, a cominciare dai tuoi, gli unici verso i quali ha senso indirizzare eventuali moti stizziti di protesta o insopprimibili tentazioni creative.

bottom of page