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Nonno Silvio


Anche il peggior delinquente incanutendo in disgrazia sbiadisce, stempera la riprovazione e l’indignazione che suscitava quand’era potente in sentimenti di bonaria empatia e umana tenerezza. Ci si immagina Vallanzasca, il maledetto cattivo degli anni 70, che rapina il supermercato con lo sbiasciso della dentiera, -Femmi ciucci è una ciapina-. O Andreotti, in una vecchiaia perseguitata dal sospetto, o Cossiga, ridotto a esternare a vanvera di complotti, segreti omissis ed eversioni scampate. Perfino Cutolo o Riina che vaneggiano dal carcere di segreti che farebbero tremare il Palazzo, come se il Palazzo possa ancora tremare di qualcosa. O addirittura Mussolini, in un ipotetico futuro diverso, oggi centenario sarebbe forse revisionato dall'umana pietas che non si nega a nessuno. Figurarsi per Silvio Berlusconi, incaponirsi per qualche vizietto da terza età. A vederlo solcato dalle rughe, costretto ai servizi sociali nell’ospizio, abbandonato dagli ex fedelissimi in diaspora, sconfessato da irriconoscenti cortigiani solo grazie a lui saliti alla ribalta, attaccato dai nemici giudici che lo ossessionano da decenni, risveglia la simpatia che si deve agli anziani potenti disarcionati dalla storia. Cosicchè a scoprirlo dopo tanto calvario innocente, ci si sente sollevati. Meno male, il premier non sapeva che l’avvenente signorina dalla quale si lasciava irretire era minorenne. Non ha concusso il pubblico ufficiale suggerendogli di liberare la ragazzina come ragion di stato pretendeva, gli ha semplicemente fatto uno scherzetto: lo zio Mubarak è stata solo una barzelletta.

Finisce a barzelletta del resto tutto quanto lo ha riguardato, gaffe diplomatiche, bugie, eccessi. Eredità e partito che lascia, compresi. A cadere sono le figure perifiche, il primo strato della torta che si scioglie, i compiacenti, i consulenti, gli intermediari. Come il Fede, il Lele, o la Nicole, graziosa consigliera condannata a sette anni per aver favorito un reato che però non si è mai consumato. Ribaltato il principio della proprietà transitiva per il quale se il beneficiario è innocente anche il procacciatore dovrebbe esserlo a maggior ragione: se il fatto non è sussistito o non ha costituito reato, di che si è macchiato chi l’ha solo favorito? Ma insomma, a parte sofismi, tecnicismi e manchevolezze, l’importante è il finale, nel legittimo dubbio è preferibile l’ennesima barzelletta ad un innocente in galera. Però. Ci sono strati della torta in disfacimento ben più solidi dei periferici che si sciolgono, ben più inquietanti delle barzellette che si raccontano ma che si perdono nell’indifferenziato cassonetto del passato, mischiandosi al tutto che non distingue nulla. Menchemeno i fattacci e i loschi figuri che hanno costellato di lordure la storia recente, spostato poteri finanziari, politici e interessi più o meno illeciti da sud a nord, pregiudicando la traballante democrazia che ancor viviamo. Fra questi, Marcello Dell’Utri che della torta del Cavaliere se non proprio la ciliegina, ha rappresentato perlomeno la panna montata di farcita, è in galera accertato colpevole di delitti e cointeressi con personaggi che solo a citarli viene l’orticaria. E’ stato il fondatore di Forza Italia, non proprio bruscolini, come se Antonio Gramsci fosse finito in carcere per essersi spartito il bottino di Salvatore Giuliano. Come lui in cella a riempire di appunti quaderni che forse fra vent’anni risbucheranno da dietro un termosifone per minacciare il Palazzo che nel frattempo è diventato altro e getterà il rinvenuto nel cassonetto indifferenziato dei misteri di stato. Non solo fedele braccio destro del Cavaliere, non solo socio e amministratore negli affari di famiglia, non solo senatore, Marcello può dirsi autore della fiction che è andata in scena per trent’anni, lo spingitore del cavaliere che è sceso in campo. E, nuovamente, come Mazzola in un'amichevole per Telethon, vi ridiscende. Le sentenze che lo condannano raccontano di accordi, patti e cointeressi con la peggiore feccia esistente. Nell’interesse reciproco e di quello del suo socio Berlusconi, per conto del quale Marcello ha chiesto e ottenuto da Cosa Nostra protezione, finanziamenti milionari e sostegno elettorale. Mentre, lungo un’ininterrotta carriera quarantennale, Berlusconi si evolveva da figlio di banchiere a costruttore vorace, a imprenditore televisivo, a capo di partito da guiness, fino a onnipotente premier. Sebbene per tutti oggi sia solo un inguaribile puttaniere. Fa bene rileggersi le sentenze di Marcello Dell’Utri, socio, intermediario e spingitore del Cavaliere Silvio Berlusconi. Per ripercorrere la storia della nostra vita anno dopo anno e rilevare ancora una volta che nella giustizia patria la proprietà transitiva non vale: l’intermediario è in galera, il beneficiario libero e pronto a ridiscendere in campo, come un anziano campione o un ascensore usurato su e giù nel Palazzo. Per ricordare soprattutto, noi pescirossi, che Silvio non è il simpatico nonnetto vicino di casa che dalla carrozzella tasta il culo alla badante. Ogni ruga che ce lo rende simpatico è una buco di verità non ancora accertata, un debito che ancora stiamo pagando, un solco nella storia, ancora per poco, recente.


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