Cattivi Pensieri
Quando Susanna mi ha chiesto di presentare il suo libro, a parte sentirmi onorato, mi sono chiesto quale contributo avrei potuto dare io, povero architetto. Forse l’ha fatto – mi sono detto- in omaggio alla nostra ormai lunga amicizia, fatta di condivisioni e purtroppo, della pena per quanto c’è attorno.
Avrebbe avuto bisogno di un filosofo, un sociologo, un antropologo, o almeno di un anarchico autentico che come lei abbia sempre conservato nel cuore prima che nella logica, le apparenti follie del pensiero che fa a meno di divieti, vendette e punizioni.
Poi leggendo Cattivi Pensieri ho avuto un’illuminazione, un possibile terreno di confronto per svoltare l’improvvida scelta di Susanna.
Mi ha colpito nel libro il ritorno di una parola che un architetto usa spesso ma che, nel linguaggio comune, assume altri significati: prospettiva.
La prospettiva è nell’accezione architettonica la simulazione in due dimensioni dello spazio guardato da uno -e un solo- specifico punto di vista, una sorta di costrizione appiattita sul foglio della scena che stai guardando.
La prospettiva (che è una scienza e non un’arte) è regolata da una legge geometrica che distorce la realtà, contraddicendo le leggi della fisica più oggettiva ed acclarata.
Prendete i binari di un treno. Se li guardi dal cielo, dall’infinito, appaiono come effettivamente sono, paralleli ed equidistanti da Torino a Palermo. Ma se scendi dal cielo sulla Terra - come fecero nel 400 gli umanisti che inventarono la prospettiva -, da qualunque angolo li guardi ti appaiono convergenti.
Rispondendo ad una severa legge geometrica che vuole che le linee nella realtà fra loro parallele ed equidistanti come due binari, convergano in un punto, che – attenti ai termini – si definiscono fughe.
In una strada le linee dei palazzi in schiera, i filari di alberi, i tetti, tutte corrono insieme alle loro parallele, nella loro fuga.
La linea che congiunge le infinite fughe, il loro luogo geometrico, si chiama Orizzonte.
Possiamo così concluderne che direzioni nella realtà con nessun punto in comune, in prospettiva fuggono via verso un punto comune. Che sta sull’orizzonte.
Inoltre. La posizione dell’orizzonte non è sempre la stessa, varia, a secondo del punto di vista. Dipende dall’altezza dell’osservatore ma anche dal suo punto di mira, quello cioè verso cui dirige lo sguardo. Se dovessi cadere sul marciapiede il mio orizzonte si limiterebbe alle ginocchia dei passanti. Ma, se da quella condizione, guardassi verso il cielo, il mio orizzonte si eleverebbe fino ad allargare la scena e raccogliere ancora infinite fughe.
Ancora. La prospettiva per noi architetti è anche uno strumento di controllo del progetto, la rappresentazione di un’idea che esiste solo nella nostra testa. O, se capita un artista, nel suo cuore.
Quando un angolo non torna, un dettaglio non riesce a risolversi come quando vuoi verificare se il retro ti si ricombacia col davanti, devi cambiare il punto di vista; e quindi la tua prospettiva.
Più prospettive realizzi di uno stesso oggetto più ti chiarisci le idee, meglio puoi illustrarle al tuo cliente, più lui è contento e ti paga.
Da cui discende un altro postulato: cambiare le prospettive, in un modo o in un altro, arricchisce.
La prospettiva è servita a intere generazioni di creatori per realizzare i propri sogni, regalandoci capolavori di città con le loro quinte, fondali, fontane e piazze. Quando abbiamo smesso di modellare le nostre idee in prospettiva e di guardare le cose da diversi punti di vista, il mondo si è appiattito in una banale proiezione ortogonale.
Solo x, y, base e altezza e, in mezzo, un’indistinta area cosiddetta omogenea.
Cambiare prospettiva è quello che ci sforziamo di fare più o meno consapevolmente quando ci troviamo in un bivio nella vita, o nello sconforto. Come insegnava il professor Keating nell’Attimo Fuggente – e mi scuso per il riferimento troppo profano rispetto ai dotti e sapienti di Susanna-, quando vi trovate persi nell’incapacità di una via d’uscita, provate a salire in piedi sulla cattedra.
Ho sempre trovato romantica, più che rinascimentale, questa storia della prospettiva, delle fughe, dell’orizzonte. Come del resto trovo romantica prima che sincera, lucida e coerente la logica con la quale Susanna ci racconta che senza Altrovi il nostro orizzonte si ferma alle caviglie, senza una fuga – di cui Henry Laborrit scrisse l’Elogio – che faccia convergere direzioni solo apparentemente equidistanti, ci ritroviamo incartati in una vita misera.
Per tutto questo mi sento di concludere che Cattivi Pensieri di Susanna Schimperna è il libro delle Prospettive, delle Infinite Fughe del Pensiero alla ricerca di un Orizzonte comune.