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Torpignattara 1.0


Quasi all’incrocio con la Casilina, al 37, un emo-asian poco più che ventenne ha aperto un parrucchiere. Sta con una filippina, coreana, cinese (chi sa dirlo?), manga sovrappeso truccata da commessa tuscolana. I primi giorni stazionavano davanti la vetrina, indifferenti al caos attorno, alle sirene delle ambulanze che ululano nell’incastro davanti al semaforo. Con una smorfia di sorriso prestampato, certi che nel giro di qualche tempo sarebbero rientrati per non uscirne più. Dopo qualche settimana, infatti col sole e la luna, pranzo e cena, week end compreso e forse, a serrande abbassate, anche la notte, tagliano, tingono, arricciano capelli.

Le signorone locals, quelle che si tengono strette le sedie del bar occupato a scrocco con la busta della verdura ai piedi, il ventaglio merlato e i piedi deformi a rinfrescarsi fuori le ciabatte, dopo una prima fase di diffidenza, col passaparola ci si sono rintanate dentro. Aria condizionata, riviste di fotografie a tutta pagina e gossip a gogò: otto euro piega, colore e shampoo.

E chhe tte devo dì - sbotta una residente sotto la carta stagnola che le stinge la fronte – da quanno che è morto la bonanima di mi’ marito, porello, so’ rinata-

Ai piedi, fedele come un chiuwawa, la busta della spesa dal bangla, aperto mesi fa e mai più chiuso, nemmeno a capodanno. Fa concorrenza al pakistano a due passi, sotto il quadretto della Dea Kahlì, che a sua volta ha costretto Ciro, lo storico napoletano della via, a risolvere col furgone scarrozzato fermo in sosta all’angolo: la mattina carico di merce, la sera vuoto, meno spese, più guadagno. Con la frutta a Torpignattara ci puoi fare gli impacchi, ogni venti metri un fruttarolo, ogni angolo un paese. Gli arabi spadroneggiano col kebab, ci hanno fregato il fastfood americano che qui a Torpignattara non è mai entrato. Ha vacillato perfino la rosetta ripiena – ecce credo, mortacci loro, a tre euro e cinquanta - e della pizzetta tipica che ormai a Roma guarniscono con la scamorza a blocchetti, chewing gum da asporto tanto al chilo. La pizza è diventata appannaggio degli egiziani, che a trovare un italiano che si sacrifica all’impasto la notte è un’impresa.

- Io nun ce vado, fa la signora con la carta cooki in testa– me fa schifo che toccano con quelle mano-, lamentandosi col parrucchiere emo che intanto, in pausa pranzo, arrotola spaghetti saltati nel wok di stagnola, indifferente allo svolazzo da trico-tripudio variopinto.

Ai cinesi l’appalto dell'abbigliamento, delle cose di casa e dell'inutilità eretta a bene di consumo. Ci hanno copiato, che sono bravi a farlo, quello che mostravamo essere: acquistatori di inutilità a basso prezzo. L'hanno riprodotto e adesso contano i soldi nella cassettina. Con la stessa smorfia di sorriso vendono un reggiseno, una bagnarola, uno scopetto del cesso a fiori nel negozietto che sotto, nello scantinato, nasconde la bisca. Fino a notte tarda si lanciano incomprensibili sibili, fumo e carte da gioco.

I musulmani invece - e nella categoria racchiudo una porzione macroscopica di sud che farei fatica a posizionare nel mappamondo- hanno affittato un negozio che non vendeva manco un bottone e ci hanno fatto un luogo di culto. Con l’anticamera zeppa di scarpe stipate in ordine geometrico, dalla quale esce a cullarti il lamento incessante dei venerdi di preghiera e ramadam, mixato alle radio dalle finestre dei palazzi. Vetri opachi sulla porta anodizzata, tappezzati di volantini intraducibili con fotografie da divi di Bollywood. Potrebbero dire tutto e il suo contrario: si è perso tizio, è arrivato caio oppure ecco il fratello che si farà esplodere domattina in piazzetta. E maschi, fermi agli angoli al cellulare, non si sa con chi e con che parte del mondo. Una quantità di maschi che dopo un pò ti nausea, perchè le donne le tengono avvolte come i pettidipollo nel cellophane. Ma è solo questione di tempo, le figliolette che già masticano il romanaccio cederanno al percing sull'ombelico e alla scritta Fuck Daddy subito sopra lo spacco fra le natiche, a sancire l’inevitabile impietosa vendetta alla dominanza maschilista che ce le ha portate. Torpignattara è un viaggio senza fare viaggi, nè bagagli.

Una sezione trasversale di mondo, in miniatura come lo Stivale a Rimini della Carrà, dove era bello fare l'amore da Firenze in giù. Sodoma se Scampia è Gomorra, Blade Runner senza pioggia acida, quando non piove. L'inevitabile evoluzione della visione del genio di Pasolini che quarant’anni fa aveva capito come stavano le cose. La periferia centro del sistema, dove covano le tensioni, le contraddizioni, le pulsioni. I borgatari di ieri che fanno i padroni e gli stranieri immigrati di oggi adattati a trovare il loro spazio. Senza Stato, hanno imparato l’autosufficienza nella convivenza forzata di una densità abitativa da favelas, nel Paese che s’è scordato la sua gente, indigena e non.

La scuola Pisacane al di là della Casilina è un melting pot di bambini colorati che masticano romanaccio a ricreazione e imparano Dante nelle scarcassate aule della miseria patria. Quando giorni fa improvvisamente ci è apparso Borghezio, vecchio avanzo di strafottenza padana, con il megafono vintage ad aizzare al voto populista che spezza le reni all’immigrato, la scuola ha reagito compatta come un globulo bianco col virus dell’influenza. Il misero Borghezio, decontestualizzato come un hamburger di porco in un paese musulmano, davanti una mamma italiana, avamposto di dignità sul fronte disertato e saccheggiato prima ancora che dallo straniero ormai costante del paesaggio, dall’inetta e desolante pochezza del Potere vigliacco che si affaccia solo a pretendere tasse e voti.

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