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Numeri


Ho uno scooter. La mattina col sole e con la pioggia, col phone estivo che fa ribollire il casco come nella tramontana invernale che taglia la faccia, lo inforco e vado al lavoro. A Roma riesci a prevedere lo spostamento da un punto A a un punto B, ma se da quel punto B dovrai muoverti verso uno C magari fuori mano hai due alternative: ipotecare la tua giornata ad un destino incerto incastrato fra le lamiere o affrontare le due ruote, sfidando le intemperie e il destino zigzagando nelle code e infilandoti nei pertugi di risulta fra clacson strombazzanti e autisti infoiati. A volte rientrando a casa la sera e rimandando il pensiero a quell’auto che ti ha tagliato la strada, a quella moto che ti ha sfiorato lo specchietto o a quell’autobus che ha svoltato forte della sua stazza e incurante della tua inferiorità dimensionale, ti viene da pensare: fiuuu, anche oggi m’è andata bene. Ma solo a volte perché per il resto dei giorni, dei mesi e dei tanti anni della mia carriera da centauro per necessità più che per passione, preferisco non rimuginarci sopra. Perché se dovessi contabilizzare i rischi scampati e da scampare che l’equilibrio instabile su due ruote comporta, dovrei cambiare abitudini. Ma seppure decidessi di optare per le quattro ruote, a parte lo stress da tempo buttato chiuso in una bara semovente, rischierei egualmente in una rosa di possibilità funeste. Basterebbe che a una sola delle migliaia di automobili che incrocio ogni mattina saltasse un freno o che ad uno dei rispettivi conducenti scappasse uno sbadiglio incontrollato o un embolo di rabbia per la litigata con l'amante al cellulare (la distrazione è causa del 12% degli incidenti stradali, l’80% per gli under 20 anni) e io potrei essere fritto. E magari, fritto io, potrei involontariamente coinvolgere nella mia frittura altri che a loro volta incrociano me nel loro destino. Se invece, volendo scongiurare ogni rischio, uscissi a piedi ridurrei la percentuale statistica dei danni che potrei procurare a terzi ma io potrei comunque essere falciato sulle strisce, amputato da un veicolo che perde il controllo, finire infilzato al vetro di un finestrino in frantumi (600 sono ogni anno in Italia i pedoni vittime della strada). Che figura mi fai fare – gridavano la mattina le mamme se non ti cambiavi la maglietta della salute – se ti investono e finisci in ospedale? In Italia l’Istat conta ogni anno 650 vittime di incidenti stradali e 21.000 feriti solo nei centri urbani. Nel mondo sono stati 2 milioni e mezzo solo l’anno scorso. Non va meglio a chi, prudentemente si chiude in casa. Per incidenti domestici dice l'IDB Eurosafe, muoiono nella Ue 233.000 persone ogni anno. Si, lo so, è incredibile, anch’io l’ho dovuto rileggere dieci volte, 2 persone al minuto. Tanto che, sempre a farne un fatto statistico, se ne deduce che è più sicuro scapparsene via la mattina buttandosi a 100 all’ora nel traffico. Nè la bici potrebbe essere un’alternativa, se è vero che nel solo 2012 i ciclisti deceduti in Italia sono stati 290 con una percentuale in crescita del 2,7% ogni anno. A rigore dovremmo prendere provvedimenti definitivi. La mattina andarcene di buon’ora in un parco per passarci la giornata in tranquillità. Ma a parte che i costi della vita non lo consentano ai più fra noi, solo a Roma, dicono i numeri, dei 330.000 alberi urbani se ne dovrebbero sostituire ogni anno almeno 9.000 perché a rischio caduta parziale o totale. Ce ne tocca uno ogni 388.000 abitanti, quasi un ramo a testa l’anno. Eppure, nonostante le risultanze statistiche, non ci verrebbe mai in mente di azzerare il parco macchine, vietare le dueruote, cavare tutti gli alberi o andarcene a vivere sul Tibet. Contestualmente, su tutto altro versante, nella pioggia di dati funesti andiamo a contare i danni del terrorismo planetario che tanto ci affligge. Nel mondo nel 2014 sono state 32.658. Nella Ue 6.211 dagli anni 70 ad oggi, cioè in 40 anni, 155 l’anno. Sul territorio italiano negli ultimi anni 0. In Europa cioè, muoiono 2 persone ogni minuto per incidenti domestici, 25.700 ogni anno per incidenti stradali, quasi 600 in bici e 155 per terrorismo. La percentuale di finire vittima di un atto terroristico, per quanto il rischio sia aumentato in un anno dell’80% (ma sempre riferito a 155), rispetto quello di morire per un accidente indipendente da nostra volontà o negligenza è 0,6 contro 100. Praticamente nullo. Ora. Non che con questo dobbiamo smettere di preoccuparci del terrorismo planetario. Non che non dobbiamo spendere risorse per eliminare i rischi di attentati o non adottare tutti i provvedimenti per scongiurare ogni minaccia, ma i dati, come si dice, ci cosano, suggerirebbero cautela prima di adottare in tutta fretta decisioni azzardate. Nell’ultima guerra mondiale, sempre a farne un dato statistico, solo in Europa sono morte circa 60 milioni di persone. Un’intera Italia falcidiata. In Iraq invece, per avvicinarci nel tempo, in otto anni le vittime sono state 500.000 delle quali 200.000 innocenti, capitate cioè per caso nel luogo sbagliato. 13.870 in Siria negli ultimi due anni. Nonostante tale considerevole tributo di sangue e senza contare la pessima qualità della vita di chi ne è rimasto coinvolto, costretto nei migliore dei casi ad emigrare in altrovi dove condurre comunque un’esistenza grama nel sospetto generale, a conti fatti la guerra non ha risolto un beneamato alcunché. L’Iraq è ancora lì senza soluzione, la Siria non sa bene a quale imam affidarsi, la Libia è nel caos più assoluto, l’Afghanistan di nuovo in mano ai talebani. E il terrorismo sta facendo crescere dell’80% le sue vittime: segno che, morto un Bin Laden, se ne è fatto rapidamente un altro. Più prudente, a conti fatti, continuare la nostra vita quotidiana a inforcare lo scooter, lavorare, sudarsi soldi per buttarli la sera al ristorante o ad un concerto degli Eagle of Death piuttosto che dei Modà. Meglio Investire le risorse per regalarsi una mostra, un concerto, uno spettacolo, più che la prospettiva di una guerra che, peraltro, rammolliti grazie a Dio dal più lungo periodo di pace della storia europea, non sappiamo più cosa significhi né come si faccia. Per quell’oretta di relax che non si nega a nessuno, che a pagare e a morire – diceva quello – c’è sempre tempo.


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