Come scarafaggi
Li schiacceremo come scarafaggi.
Non è stata la reazione a caldo del mio vicino di tavolo al bar di Torpignattara che pure ci sarebbe stata, ma di Maurizio Gasparri, nostro parlamentare. E con lui una nutrita schiera di consimili, Salvini, Meloni e loro accoliti che gli hanno fatto eco incitando allo stato di emergenza, alla chiusura delle frontiere e all’attacco totalizzante a non si sa bene quale obiettivo geografico. Così da farci preoccupare davvero del nostro presente, prima ancora del nostro futuro prossimo, se le premesse non sono un’animata discussione fra pensionati e hobbisti da birra e cappuccino ma voti ad un’eventuale risoluzione all’indomani della mostruosa strage parigina. Cos’è davvero uno scarafaggio? Un insetto dall’aspetto raccapricciante che si nasconde agli esseri umani pur infiltrandosi nelle loro case dagli angoli più remoti, dagli interstizi più impraticabili ed inoccludibili, onde riprodursi e vivere da parassita cibandosi dei nostri resti. A guardarla dal loro punto di vista, degli scarafaggi dico, una condizione tragicamente miserrima, destinata al buio dei cunicoli più inospitali, alla reclusione nel nido più reietto e meno invidiabile. Ad essere schifati come indesiderabili dall’uomo che cosparge gli zoccoletti delle sue pareti, i retrofrigo e le scatole sifonate di polveri e creme velenose per annientarli. Senza peraltro riuscirci, se è vero come è vero che lo scarafaggio è la specie più antica e più eterna, l’unica che sopravviverebbe a qualsiasi catastrofe planetaria immaginabile, guerra atomica compresa. Perché provvisto di una corazza di chitina che lo rende di fatto invincibile.
Nonostante questo uno scarafaggio, per quanto forte della sua invincibile dotazione biologica, non esce allo scoperto. Non se ne va al ristorante, a un concerto o allo stadio il venerdi sera. Non disegna vignette satiriche, né esce dalle sue frontiere o ne entra per cercare esperienze fuori dal suo coatto e fetido nascondiglio. Se ne sta chiuso nel suo nido per uscirne in tutta fretta quando non avverte presenze estranee esclusivamente per nutrirsi, per poi, alle prime luci dell’alba, far ritorno nel suo immondo rifugio. Gli basta defecare per rilasciare ferormoni pestilenziali avvertibili dai simili a centinaia di metri di distanza. Eppure, per quanto schifoso, lo scarafaggio non è cattivo: lo hanno disegnato così, come la vamp di Roger Rabbit, portato per sua natura a proteggersi dall’estinzione sfuggendo all’essere umano e ai suoi affollati luoghi di convivenza sociale. Ha ereditato nel dna dai suoi avi l’istinto a tale comportamento asociale, l’input del ribrezzo della specie umana che lo ha in odio fin dall’antichità in quanto portatore di malattie. Se uno scarafaggio riesce a penetrare nella nostra dimora la nostra vita quotidiana ne resta stravolta. La serenità di un qualunque comportamento, il relax serale, perfino la minzione notturna che costringe al bagno in piena notte, è compromessa dal terrore di accendere la luce e avvistarne il rapido e ributtante fuggi fuggi. Fino alla sconfortante presa d'etto che non esistono rimedi davvero efficaci a questo orrendo avversario. Tocca smontare casa, pezzo a pezzo, fino agli interstizi più remoti per scoprire dove si annida e stanarlo.
Conosco gente che ci è rimasta sotto, che è arrivata a vendersi casa pur di sfuggire a quell’incubo, a sacrificare mobilio e intonaci, a tentare costose guerre chimiche di provetti disinfestatori, ognuno con la sua teoria strategica e con il suo curriculum costellato di fallimenti. Non serve bruciare casa, né risolve comprarsene un’altra all’ottavo piano confidando nell’inaccessibilità che un piano terra sembrerebbe favorire. Perché lo scarafaggio arriva dappertutto, dai muri, dai pluviali di scarico, dalle uova magari inavvertitamente infilate sotto le suole delle scarpe, nella verdura comprata al banchetto del mercato. Dalle feci del gatto che se ne è sbranato uno, (specie superiore che della guerra allo scarafaggio ne ha fatto un hobby, un gioco notturno per farne trofeo in dono al suo ospite la mattina al risveglio). Cosicchè il problema, sotto attacco di scarafaggi, una volta preso atto della loro biologica invincibilità, non è tanto come distruggerli, ma come conviverci. Il punto è come non guastarsi la quotidianità, come non schiavizzarsi all’ossessione di esserne sopraffatti cambiando i propri comportamenti e sperando in una soluzione definitiva che sappiamo essere solo una chimera. Il vero rischio nella relazione con loro è l’inversione dei ruoli. Loro tranquilli nella loro predisposizione biologica e noi reclusi nel nostro nido inproteggibile, arrivando a distruggerlo o a fuggirne senza possibile destinazione sicura, pur di scampare al loro attacco. Loro a continuare la schifosa vita da insetto schifoso e noi a diventare come loro. Perché chiudersi nel nido, fratelli europei, americani, russi, israeliani, Gasparri e Salvini compresi, è la prima comprensibile e istintiva reazione alla paura. Esattamente il rimedio che hanno trovato gli scarafaggi alla persecuzione umana. Alla quale continuano a sopravvivere, vero, ma conducendo una vita oggettivamente e neanche troppo metaforicamente di merda.