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Quando gli Dei giocano a scopa


Il venerdi sera gli dei si vedono per la consueta partita a scopa. Si ritrovano nell’universo dell’Uno o dell’Altro, mettono in carica l’ I-Mondo – uno schermo ologramma dal quale seguono attimo per attimo in 3D le vicende del rispettivo creato-, si versano un bicchiere di nettare e danno le carte.

La chiacchiera, che di solito tende a deconcentrare l’avversario per fargli scopa, verte sulle news che li raggiunge dall’apparecchio. - Avete sentito che hanno combinato i miei a Parigi? – irrompe il Primo mentre spacca il mazzo.- Gli Altri, che s’aspettavano la Sua uscita, annuiscono, sapendo Ciascuno in cuor proprio che potrebbe sempre alzarsi Qualcun Altro per sciorinare sborone le cifre stellari delle ignominose statistiche dei propri creati. Fortunatamente la magnanimità, la saggezza e il carattere sportivo delle Divinità rifugge certe competizioni da prodotti finiti, certe manifestazioni terra-terra di potere che a quel Tavolo si risolvono con un prosit a calice sollevato. Non che brindino alle malefatte dei propri creati, anzi. Gli Dei contemporanei non sono più Quelli di un tempo, capricciose entità dell’Olimpo che parteggiavano per alcune loro creature a danno di altre, arrivando a calarsi sul creato con dispettucci, saettine e sgambetti avvelenati. Seppure Certuni potrebbero rivendicare un numero di seguaci maggiori rispetto ad Altri minori secondo la concezione temporale, semisconosciuti e con pochi fans, il potere nell’Olimpo celeste non è motivo di distinguo, vanto o fierezza. La prospettiva di passare un’eternità a sgomitare per aggiudicarsi quanto fuori dal Tempo e dallo Spazio vale come il due di coppe nella primiera di denari, è idiozia da creati non certo da Dei Creatori. Che al massimo sulle vicende terrene amano scherzarci il venerdi al tavolo da gioco, ma solo per distrarre l’avversario e segnargli scopa. Gli Dei, con la maturità, hanno preferito lasciare alla libertà dei creati l’elezione del dio al quale attribuire la propria genesi, limitandosi a distinguerli, al momento del trapasso, nel paradiso che ciascuno aveva sognato in vita. A ciascun creato - dicono- il suo Paradiso. Perfino i senzadio, cinici figli di nessuno dalle vuote prospettive ultraterrene, quando tocca a loro finiscono in un’eternità senza riferimenti ma comunque contenti pure loro di trovare quello che si aspettavano. Perché litigare? La saggezza che gli Dei tutti condividono nelle secolari serate di scopone come questa, suggerisce che le guerre del creato, soprattutto quelle che si dichiarano in nome di Uno di Loro, non si risolvono in una sola battaglia. Che ad ogni strage ne corrisponde sempre una contraria e nemmeno uguale, superiore invece, in nefandezze e conseguenze nefaste. - Avete sentito dell’abate di Cassino che si calava pasticche e festini con i soldi raccolti a Mio nome?- prova a irrompere nel silenzio Uno degli Astanti, cercando di stemperare la melanconia ultraterrena che si è impossessata di quel Tavolo con una di quelle barzellette che il venerdi sera Li diverte tanto. Ma niente. Stavolta le divinità non hanno alcuna voglia di ridere né di bere nettare. Sono intristite dalla deriva che i rispettivi creati stanno inaugurando e temono, vedendola lunga, di doversi attendere anni di mestizia dall’I-Mondo, tragedie, paure, cazzate, debacle. Così, improvvisamente, senza dirselo né comunicarselo a ultrasuoni, prendono all’unanimità la decisione di intervenire. Come in passato Si è pur fatto, a volte perfino calcando la mano alla bisogna con distruzioni epocali, o magari solo mandando profeti, messia, segnali di pianto di statue e apparizioni fugaci. Rispolveriamo – concordano - l’antico stratagemma Costantino: all'imperatore d'oriente bastò scorgere in cielo la scritta IN HOC SIGNO VINCES per convincersi a lasciare tranquilli i creati cristiani. E al di là delle effettive motivazioni e delle conseguenze che se ne produssero, almeno la fecero finita con le persecuzioni. Così stabilirono all'unanimità che all’indomani, nel medesimo istante ogni Dea e ogni Dio presente a quel Tavolo avrebbe proiettato nel cielo del rispettivo creato in tutte le lingue conosciute per non lasciare scuse a nessuno, a coronamento delle rispettive effigi, la scritta: NOT IN MY NAME. MA CHI MAI VE L’HA CHIESTO? NUN JE DATE RETTA. NO VIRGINS HERE. E cosi via. Giusto il tempo di accordarsi sui dettagli, font, colore e dimensione del testo da proiettare e alzarono il calice, confidando nel grado di evoluzione dei propri prodotti e pregandosi l’Un l’Altro, non avendo altri Superiori a cui votarsi, per il buon esito del provvedimento. Intonando in coro, prima di salutarsi per tornarsene nei rispettivi universi, quella canzonetta terrestre che Li mette tanto di buon umore nei venerdi di scopone, e che fa: Imagine Nothing to kill or die for And no religion too


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