top of page

Mein Kampf


La sera mi addormento con Rai Storia. Tengo accesa la tv fino a tardi perché mi culla la voce dello speaker dei vecchi documentari, le immagini in bianco nero sgranate mi conciliano il sonno. Grazie a questa anomala abitudine però ho modo di ripassare la storia recente, che non fa mai male, a me soprattutto capra ignorante da rari libri. Seppure addormentarsi con Mussolini, Hitler o i kamikaze nipponici non si direbbe produca sogni auspicabili, nel dormiveglia, fa pensare. Resto affascinato di solito dalle masse, folle oceaniche che osannano gli scheletri degli armadi del nostro passato più recente, gli abomini che ogni tanto qualche revisionista più capra di me è avvezzo giustificare con i luoghi comuni del però, però ha fatto le strade, però i treni arrivavano puntuali, però le strade erano pulite. Con la stessa monotona nonchalance di chi ricorda che di mamme ce n’è una sola e che i negri hanno il ritmo nel sangue. Guardare piazza Venezia che non aspettava altro ogni maledetta domenica che dimostrare la sudditanza al duce che dal balcone si gonfiava il petto maschio e glabro come un galletto vallespluga in calore significa costringersi al dubbio di esserci stati, -anche noi capre nate decenni dopo- ad acclamare a braccio teso il balcone. Davvero ci sarei potuto stare anch’io, viene da chiedermi aspirando l’ultima sigaretta. Davvero mi sarei adeguato all’acclamazione mettendo a tacere il giudizio critico, proprio io che ai balconi guardo con genetica diffidenza, soprattutto se sotto c’è una maggioranza che sbraita. La stessa maggioranza che, in qualsiasi occasione, dalle riunioni di condominio, alle piazze, alle elezioni, più è schiacciante più schiaccia a terra il discernimento critico: più sui balconi i capi sgallettano più la maggioranza sotto è prona a beccarsi gli schizzi di sputacchio e le cacche degli uccelli che sorvolano, falchi altoelevati dell’Indifferenza li cantava il poeta. La considerazione più sconsolante che ne deriva è che gli abomini della storia non si concretizzano tambè, una mattina qualunque come una gallina che covi l’uovo da farsi in padella. Non ci si sveglia un’alba qualunque accorgendosi che il conoscente ebreo, comunista, nero, gay o rom è stato caricato su una camionetta diretto alla camera a gas. Ci si arriva per gradi, sorvolando sul pensiero critico un passetto alla volta, quando chiudevano un negozio appiccicandoci sulla vetrina una stella di David, quando si licenziava un docente o un impiegato reo di razza sbagliata, quando la vittima della legge veniva a chiedere un sottotetto o una cantina per nascondersi. Così come quando un barcone si lascia naufragare a mare, una frontiera o una porta si chiudono, quando si strilla tornatevene a casa vostra applaudendo il galletto vallespluga di turno sul balcone della piazza venezia mediatica di nuova generazione. Perché un duce ci sia deve necessariamente esistere una massa a testa alta quando c’è da osannare, a capo chino quando serve ubbidire. Che un pensiero, anche il più atroce, come il duce galletto più tragicomico, non sono mai determinanti finchè il popolo sa discernere chi e cosa applaudire. Un pensiero non si censura mai, neanche se nazifascista. Neanche se pretende la pena di morte, se auspica una guerra, se vuole ricacciare in mare un barcone di profughi, perché non è il pensiero ad essere una minaccia ma la gente che, subendolo, è pronta a farlo suo. Ma nessun alibi può e potrebbe mai salvarla dagli abomini che ha consentito, se non ha contestato la piazza che se ne è generata, fino a far saltare in aria il balcone arrostendo allo spiedo il galletto a petto tronfio che da lassù sbraitava. La Storia non giustifica, condanna senza appello chi c’era come chi disconosce l’orrore anche a freddo, anche a decenni di distanza, le capre ignoranti che ripetono senza capirne il senso: però quando c’era Lui. Tocca ricordarsele ste cose. Tocca rileggersi il Mein Kumpf invece, ripassare i documentari di RaiStoria sera dopo sera, farsi venire il fegato amaro per quel balcone che nessuno ha fatto saltare in aria, per quell'applauso al vallespluga di turno che da lassù voleva scrivere per tutti il suo destino da galletto.

11.06.2016


bottom of page